Osservatori Digital Innovation

Pubblicato il 28 Dec 2020
Pubblicato il 28 Dec 2020
Il Paese che vogliamo

Il Paese che vogliamo


L’Osservatorio Startup Intelligence ha da poco concluso l’annuale ricerca sull’innovazione digitale in Italia, con le risposte di 175 grandi imprese, 500 PMI e 213 startup innovative, i cui dati sono stati presentati al convegno aperto del 3 dicembre “L’innovazione Digital non va in lockdown: alle imprese cogliere l’effetto startup”.

Durante la prima fase dell’emergenza Coronavirus, che ha colpito l’Italia da marzo a maggio 2020, molte aziende sono state costrette a chiudere improvvisamente, senza una data certa di riapertura. In questo contesto, molte realtà hanno potuto continuare a operare grazie a strumenti e soluzioni digitali, come lo smart working o l’ecommerce.

Le grandi imprese investono da tempo in tecnologie – abbiamo assistito negli ultimi tre anni a importanti crescite nei budget ICT e per l’innovazione digitale - e in molte si sono fatte trovare pronte nell’adottare nuove condizioni di lavoro per lo smart working, la remotizzazione di attività anche manifatturiere, l’intensificazione dell’ecommerce, l’esplorazione di nuovi mercati se necessario, mettendo a valore asset e competenze acquisite con gli sforzi fatti nel recente passato. Questo percorso continuerà anche per il 2021, ma l’emergenza ha fatto rivedere i budget delle imprese, che per il prossimo anno cresceranno (+0,89) ma con tassi inferiori agli ultimi tre anni.

Se guardiamo invece alle PMI il quadro è decisamente meno roseo. Esse scontano il forte ritardo con cui hanno compreso l’importanza del digitale e la fatica nel reperire le risorse per farlo. Per quanto concerne il 2021, le priorità di investimento per le Piccole e Medie imprese si divideranno tra lo sforzo di recuperare il gap e la necessità di attrezzarsi per l’emergenza (lo smart working sarà per loro al primo posto). Per molte il 2021 sarà un anno ancora più faticoso sul fronte dell’innovazione digitale rispetto al 2020, e in tanti casi i budget ICT diminuiranno.

Se questo è lo scenario, possiamo chiederci: la spinta determinante imposta dall’emergenza è stata quindi vera trasformazione digitale?

Questo nuovo modo di operare ha dato una accelerata importante all’adozione del digitale nelle imprese italiane, ma ha anche messo in luce i limiti del nostro Paese, evidenziando una strada ancora lunga da percorrere.

L’Italia, purtroppo, rimane fanalino di coda per digitalizzazione in Europa. Sebbene nel nostro Paese ci siano  35 milioni di persone attive sui canali social e il numero di smartphone abbia superato abbondantemente la popolazione (80 milioni), il divario digitale con l’Europa è ancora forte. Secondo il Desi (Digital Economy and Society Index), stilato ogni anno dall’Unione Europea, torniamo nel 2020 in terzultima posizione UE e quello che preoccupa è il grave ritardo cognitivo descritto dall’indicatore “Capitale umano”. La percentuale di specialisti ICT in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%) e solo l’1% dei giovani italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT (il dato più basso nell’UE). L’insieme di tutti questi indicatori non può incuterci grande ottimismo per il futuro.

La vera trasformazione imposta dall’emergenza è stata forse quella culturale (che deve essere più profonda e coinvolgere aspetti organizzativi e di governance). Le imprese sono state capaci di derogare modelli statici e norme obsolete per affrontare l’emergenza, al di là del digitale, trovando modalità veloci di affrontare l’operatività. Molte hanno aumentato il proprio interesse verso le collaborazioni con altri attori, in primis le startup, secondo un modello di open innovation, oggi adottata dal 78% delle grandi imprese e dal 55% delle PMI. Il 45% delle grandi imprese già collabora attivamente con le startup sia per PoC (Proof of Concept) ma anche per forniture di lungo periodo e partnership commerciali. Durante la pandemia sono stati tanti i casi di collaborazione: Esselunga e Ufirst per la gestione delle code, Soldo e Satispay con i comuni per la devoluzione dei sussidi alimentari, per citarne alcuni. Ricorderemo il 2020 anche per gli ingressi in equity da parte di Poste in Milkman, Campari in Tannico e Reda in Lanieri.  È  quello che abbiamo chiamato effetto startup, cioè la capacità di reagire al cambiamento e collaborare che le startup nazionali hanno dimostrato nell’affrontare l’emergenza e che alcune imprese sono state in grado di fare proprie.

In questo scenario, il Recovery Fund - varato dal Consiglio Europeo per sostenere la ripresa economica -rappresenta un importante provvedimento per gli Stati Membri afflitti dall’emergenza Covid-19. Il Ministro Roberto Gualtieri, nel suo intervento al forum Ambrosetti di Cernobbio, ha anticipato come verranno usate le risorse economiche europee, sottolineando che si provvederà soprattutto a incentivare e accelerare la digitalizzazione del nostro Paese.

Tra gli ambiti a nostro avviso più rilevanti c’è innanzitutto la formazione, in primis nelle scuole a tutti i livelli, ma anche rivolta alla PMI. Mancano nel nostro Paese certamente le competenze Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e quelle specialistiche relative agli ambiti di innovazione di frontiera (AI, Big Data e Analytics, Internet of Thing, Industria 4.0 per fare degli esempi).

Ma non basta, questo bagaglio più tecnico deve essere accompagnato dall’integrazione con capacità imprenditoriali, e con una cultura, un po' lontana dal nostro modello nazionale, che accolga il rischio e il fallimento, che abbia visione strategica, che sappia vedere il proprio ruolo nel futuro, che sia aperta ai cambiamenti che sempre più spesso si presenteranno. 

Inoltre è fondamentale la capacità di gestire ambiti e progetti multisciplinari per affrontare la complessità del prossimo futuro.

Come Politecnico di Milano e come Osservatori Digital Innovation siamo fortemente convinti che questo sia il fronte su cui lavorare per creare il Paese che ci serve e che vogliamo. Per questo siamo impegnati sia nell’ambito della didattica universitaria, che si arricchisce di nuovi corsi e laboratori a stretto contatto con le imprese, sia nei confronti delle imprese, a cui eroghiamo formazione attraverso la nostra business School Mip e con le attività degli Osservatori Digital Innovation e di PoliHub.

Alessandra Luksch, Direttore Osservatorio Startup Intelligence

L’Osservatorio Startup Intelligence ha da poco concluso l’annuale ricerca sull’innovazione digitale in Italia, con le risposte di 175 grandi imprese, 500 PMI e 213 startup innovative, i cui dati sono stati presentati al convegno aperto del 3 dicembre “L’innovazione Digital non va in lockdown: alle imprese cogliere l’effetto startup”.

Durante la prima fase dell’emergenza Coronavirus, che ha colpito l’Italia da marzo a maggio 2020, molte aziende sono state costrette a chiudere improvvisamente, senza una data certa di riapertura. In questo contesto, molte realtà hanno potuto continuare a operare grazie a strumenti e soluzioni digitali, come lo smart working o l’ecommerce.

Le grandi imprese investono da tempo in tecnologie – abbiamo assistito negli ultimi tre anni a importanti crescite nei budget ICT e per l’innovazione digitale - e in molte si sono fatte trovare pronte nell’adottare nuove condizioni di lavoro per lo smart working, la remotizzazione di attività anche manifatturiere, l’intensificazione dell’ecommerce, l’esplorazione di nuovi mercati se necessario, mettendo a valore asset e competenze acquisite con gli sforzi fatti nel recente passato. Questo percorso continuerà anche per il 2021, ma l’emergenza ha fatto rivedere i budget delle imprese, che per il prossimo anno cresceranno (+0,89) ma con tassi inferiori agli ultimi tre anni.

Se guardiamo invece alle PMI il quadro è decisamente meno roseo. Esse scontano il forte ritardo con cui hanno compreso l’importanza del digitale e la fatica nel reperire le risorse per farlo. Per quanto concerne il 2021, le priorità di investimento per le Piccole e Medie imprese si divideranno tra lo sforzo di recuperare il gap e la necessità di attrezzarsi per l’emergenza (lo smart working sarà per loro al primo posto). Per molte il 2021 sarà un anno ancora più faticoso sul fronte dell’innovazione digitale rispetto al 2020, e in tanti casi i budget ICT diminuiranno.

Se questo è lo scenario, possiamo chiederci: la spinta determinante imposta dall’emergenza è stata quindi vera trasformazione digitale?

Questo nuovo modo di operare ha dato una accelerata importante all’adozione del digitale nelle imprese italiane, ma ha anche messo in luce i limiti del nostro Paese, evidenziando una strada ancora lunga da percorrere.

L’Italia, purtroppo, rimane fanalino di coda per digitalizzazione in Europa. Sebbene nel nostro Paese ci siano  35 milioni di persone attive sui canali social e il numero di smartphone abbia superato abbondantemente la popolazione (80 milioni), il divario digitale con l’Europa è ancora forte. Secondo il Desi (Digital Economy and Society Index), stilato ogni anno dall’Unione Europea, torniamo nel 2020 in terzultima posizione UE e quello che preoccupa è il grave ritardo cognitivo descritto dall’indicatore “Capitale umano”. La percentuale di specialisti ICT in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%) e solo l’1% dei giovani italiani è in possesso di una laurea in discipline ICT (il dato più basso nell’UE). L’insieme di tutti questi indicatori non può incuterci grande ottimismo per il futuro.

La vera trasformazione imposta dall’emergenza è stata forse quella culturale (che deve essere più profonda e coinvolgere aspetti organizzativi e di governance). Le imprese sono state capaci di derogare modelli statici e norme obsolete per affrontare l’emergenza, al di là del digitale, trovando modalità veloci di affrontare l’operatività. Molte hanno aumentato il proprio interesse verso le collaborazioni con altri attori, in primis le startup, secondo un modello di open innovation, oggi adottata dal 78% delle grandi imprese e dal 55% delle PMI. Il 45% delle grandi imprese già collabora attivamente con le startup sia per PoC (Proof of Concept) ma anche per forniture di lungo periodo e partnership commerciali. Durante la pandemia sono stati tanti i casi di collaborazione: Esselunga e Ufirst per la gestione delle code, Soldo e Satispay con i comuni per la devoluzione dei sussidi alimentari, per citarne alcuni. Ricorderemo il 2020 anche per gli ingressi in equity da parte di Poste in Milkman, Campari in Tannico e Reda in Lanieri.  È  quello che abbiamo chiamato effetto startup, cioè la capacità di reagire al cambiamento e collaborare che le startup nazionali hanno dimostrato nell’affrontare l’emergenza e che alcune imprese sono state in grado di fare proprie.

In questo scenario, il Recovery Fund - varato dal Consiglio Europeo per sostenere la ripresa economica -rappresenta un importante provvedimento per gli Stati Membri afflitti dall’emergenza Covid-19. Il Ministro Roberto Gualtieri, nel suo intervento al forum Ambrosetti di Cernobbio, ha anticipato come verranno usate le risorse economiche europee, sottolineando che si provvederà soprattutto a incentivare e accelerare la digitalizzazione del nostro Paese.

Tra gli ambiti a nostro avviso più rilevanti c’è innanzitutto la formazione, in primis nelle scuole a tutti i livelli, ma anche rivolta alla PMI. Mancano nel nostro Paese certamente le competenze Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e quelle specialistiche relative agli ambiti di innovazione di frontiera (AI, Big Data e Analytics, Internet of Thing, Industria 4.0 per fare degli esempi).

Ma non basta, questo bagaglio più tecnico deve essere accompagnato dall’integrazione con capacità imprenditoriali, e con una cultura, un po' lontana dal nostro modello nazionale, che accolga il rischio e il fallimento, che abbia visione strategica, che sappia vedere il proprio ruolo nel futuro, che sia aperta ai cambiamenti che sempre più spesso si presenteranno. 

Inoltre è fondamentale la capacità di gestire ambiti e progetti multisciplinari per affrontare la complessità del prossimo futuro.

Come Politecnico di Milano e come Osservatori Digital Innovation siamo fortemente convinti che questo sia il fronte su cui lavorare per creare il Paese che ci serve e che vogliamo. Per questo siamo impegnati sia nell’ambito della didattica universitaria, che si arricchisce di nuovi corsi e laboratori a stretto contatto con le imprese, sia nei confronti delle imprese, a cui eroghiamo formazione attraverso la nostra business School Mip e con le attività degli Osservatori Digital Innovation e di PoliHub.

Alessandra Luksch, Direttore Osservatorio Startup Intelligence