Pubblicato il 26 Feb 2020
Pubblicato il 26 Feb 2020
Lavorare nel sociale, no profit e charity

Lavorare nel sociale, no profit e charity


Lavorare nel sociale, no profit e charity: come funziona, opportunità di carriera e aziende in questo settore.


Il cosiddetto terzo settore è strettamente legato al servizio alle persone e al territorio. Abbraccia il non-profit, il sociale e in generale il mondo charity e prende il nome dal fatto che si trova a cavallo da il comparto pubblico e quello privato. 

L’insieme delle realtà che lo compongono è molto ampio, tanto  quanto i bisogni a cui tentano di rispondere: da quelle legate all’assistenza medica e alla cura delle persone anziane o con disabilità, ai progetti di accoglienza e integrazione, alla lotta alla fame e alla povertà, all’insegnamento e all’inclusione sociale fino alla costruzione di infrastrutture e servizi in aree povere o disagiate, sia in Italia sia all’estero, così come alla lotta al cambiamento climatico.


Quando parliamo di industria sociale o di no profit, quindi, parliamo essenzialmente di organizzazioni che stipendiano e assumono il proprio personale, ma non hanno lo scopo di lucro nei loro obiettivi o, qualora possano averlo, reinvestono quanto guadagnato dalle proprie attività per migliorare le condizioni di vita o ambientali del luogo o dei luoghi in cui operano.

 

Lavorare nel sociale, no profit e charity: gli ambiti

Fatta questa premessa, ecco quali sono gli ambiti in cui realtà no-profit o di utilità sociale operano oggi sia in Italia sia all’estero:


- Cooperazione allo sviluppo, intesa sia come forma di sviluppo di progetti su un territorio sia come forma giuridica sotto cui spesso gli enti che lavorano in questo settore sono costituiti (esistono infatti cooperative di servizi e assistenza, così come associazioni no-profit culturali);

- Integrazione e coabitazione, grazie alle iniziative di realtà che promuovono la costruzione e la gestione di immobili e case accessibili a fasce più povere o deboli, ma che sono integrate con famiglie italiane in progetti di conoscenza e costruzione del tessuto sociale;

- Tutela dei diritti, dal lavoro fino alla lotta contro la violenza sulle donne anche sotto forma di consulenza legale (basti pensare alle case di accoglienza per mamme e donne che fuggono da situazioni di violenza o sfruttamento, o alle associazioni che certificano quali aziende agricole non fanno ricorso al caporalato);

- Tutela dei consumatori, settore spesso dimenticato ma che invece gode di ampi sbocchi occupazionali visto che realtà come Altroconsumo o Adiconsum hanno bisogno di esperti del settore utility, consumer e in generale della tutela legale per i diritti dei consumatori rappresentati nei confronti delle aziende;

- Istruzione e formazione, che in realtà è uno strumento trasversale al raggiungimento di obiettivi no-profit, ma può godere di attività e progetti specifici (anche le scuole, per intenderci, possono essere enti no-profit);

- Salute e sanità, “core business” per così dire di importanti enti come Emergency o, se si vuole cercare esempi in scala ridotta, le associazioni di dentisti o specialisti in medicina che offrono cure gratuite nei paesi in via di sviluppo;

- Crowdfunding e raccolta di fondi per progetti senza scopo di lucro, tipico di organizzazioni non governative come Mani Tese , Amnesty International, Save The Children o di onlus come Actionaid);

- Tutela degli animali e degli ecosistemi, attività che è ad esempio il cuore di organizzazioni come WWF, Lunaria, GreenPeace.

- Ricerca, come ad esempio la Fondazione Telethon

 

Lavorare nel sociale, no profit e charity: i profili ricercati

In Italia le attuali regole sull’accoglienza hanno compresso moltissimo le opportunità di lavoro di specialisti no-profit nel settore dell’integrazione e immigrazione - che comprende ad esempio l’insegnamento della lingua italiana o l’assistenza burocratica alle pratiche di ingresso - Ciononostante i profili specializzati nella cooperazione allo sviluppo e nelle relazioni internazionali, così come in diritto internazionale, sono i candidati ideali per lavorare:


- Nella pubblica amministrazione,  ad esempio, per le prefetture e per i comitati territoriali che gestiscono i flussi migratori. Con una laurea in questi ambiti, dunque, è possibile diventare funzionari della P.A. sia in Italia sia in Europa specie dopo l’instaurazione del programma Frontex);

- In organizzazioni governative internazionali come l’UNHCR, cioè le l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, o la FAO, che sempre per l’ONU si occupa di cibo agricoltura ma anche di combattere con programmi di sviluppo la scarsità di risorse nei paesi in via di sviluppo ( previa selezione tramite concorso).

Tolti questi specifici casi, in ambito no-profit puro le opportunità di ingaggiano sono molte. Non solo per diventare promoter o major donors officer, cioè profili che si occupano di curare la raccolta fondi e i rapporti con specifici target di donatori, sia per strada con attività porta a porta, sia in sede. Questo è un ottimo modo che hanno gli studenti e i giovani laureati per fare esperienza sul campo e con le pubbliche relazioni.


In Italia, ad esempio, realtà come Confcooperative e Legacoop, che radunano sotto di sé società cooperative anche profit, curano progetti di integrazione e sviluppo sostenibile per intere filiere produttive (che vanno dalla vendita, all’artigianato all’impresa manifatturiera), hanno bisogno di figure manageriali da inserire nel loro organico. Figure comuni anche alle organizzazioni senza scopo di lucro. Ad esempio:


- Consulenti legali
- Traduttori
- Mediatori culturali
- Economisti ed esperti di finanza applicata al mondo no profit
- Comunicatori, social media manager
- Pedagogisti ed educatori

Ma tutti con un background scientifico o umanistico legato al terzo settore.


Dove formarsi per lavorare nel sociale

Esistono percorsi accademici specifici per chi desideri lavorare nel comparto no profit. Ad esempio, Bologna ha attivato un corso magistrale in economia sociale mentre la Cattolica di Milano ha un intero dipartimento suddiviso per materie dedicato al terzo settore. Consigliate sono anche le lauree in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali.

Lavorare nel sociale, no profit e charity: come funziona, opportunità di carriera e aziende in questo settore.


Il cosiddetto terzo settore è strettamente legato al servizio alle persone e al territorio. Abbraccia il non-profit, il sociale e in generale il mondo charity e prende il nome dal fatto che si trova a cavallo da il comparto pubblico e quello privato. 

L’insieme delle realtà che lo compongono è molto ampio, tanto  quanto i bisogni a cui tentano di rispondere: da quelle legate all’assistenza medica e alla cura delle persone anziane o con disabilità, ai progetti di accoglienza e integrazione, alla lotta alla fame e alla povertà, all’insegnamento e all’inclusione sociale fino alla costruzione di infrastrutture e servizi in aree povere o disagiate, sia in Italia sia all’estero, così come alla lotta al cambiamento climatico.


Quando parliamo di industria sociale o di no profit, quindi, parliamo essenzialmente di organizzazioni che stipendiano e assumono il proprio personale, ma non hanno lo scopo di lucro nei loro obiettivi o, qualora possano averlo, reinvestono quanto guadagnato dalle proprie attività per migliorare le condizioni di vita o ambientali del luogo o dei luoghi in cui operano.

 

Lavorare nel sociale, no profit e charity: gli ambiti

Fatta questa premessa, ecco quali sono gli ambiti in cui realtà no-profit o di utilità sociale operano oggi sia in Italia sia all’estero:


- Cooperazione allo sviluppo, intesa sia come forma di sviluppo di progetti su un territorio sia come forma giuridica sotto cui spesso gli enti che lavorano in questo settore sono costituiti (esistono infatti cooperative di servizi e assistenza, così come associazioni no-profit culturali);

- Integrazione e coabitazione, grazie alle iniziative di realtà che promuovono la costruzione e la gestione di immobili e case accessibili a fasce più povere o deboli, ma che sono integrate con famiglie italiane in progetti di conoscenza e costruzione del tessuto sociale;

- Tutela dei diritti, dal lavoro fino alla lotta contro la violenza sulle donne anche sotto forma di consulenza legale (basti pensare alle case di accoglienza per mamme e donne che fuggono da situazioni di violenza o sfruttamento, o alle associazioni che certificano quali aziende agricole non fanno ricorso al caporalato);

- Tutela dei consumatori, settore spesso dimenticato ma che invece gode di ampi sbocchi occupazionali visto che realtà come Altroconsumo o Adiconsum hanno bisogno di esperti del settore utility, consumer e in generale della tutela legale per i diritti dei consumatori rappresentati nei confronti delle aziende;

- Istruzione e formazione, che in realtà è uno strumento trasversale al raggiungimento di obiettivi no-profit, ma può godere di attività e progetti specifici (anche le scuole, per intenderci, possono essere enti no-profit);

- Salute e sanità, “core business” per così dire di importanti enti come Emergency o, se si vuole cercare esempi in scala ridotta, le associazioni di dentisti o specialisti in medicina che offrono cure gratuite nei paesi in via di sviluppo;

- Crowdfunding e raccolta di fondi per progetti senza scopo di lucro, tipico di organizzazioni non governative come Mani Tese , Amnesty International, Save The Children o di onlus come Actionaid);

- Tutela degli animali e degli ecosistemi, attività che è ad esempio il cuore di organizzazioni come WWF, Lunaria, GreenPeace.

- Ricerca, come ad esempio la Fondazione Telethon

 

Lavorare nel sociale, no profit e charity: i profili ricercati

In Italia le attuali regole sull’accoglienza hanno compresso moltissimo le opportunità di lavoro di specialisti no-profit nel settore dell’integrazione e immigrazione - che comprende ad esempio l’insegnamento della lingua italiana o l’assistenza burocratica alle pratiche di ingresso - Ciononostante i profili specializzati nella cooperazione allo sviluppo e nelle relazioni internazionali, così come in diritto internazionale, sono i candidati ideali per lavorare:


- Nella pubblica amministrazione,  ad esempio, per le prefetture e per i comitati territoriali che gestiscono i flussi migratori. Con una laurea in questi ambiti, dunque, è possibile diventare funzionari della P.A. sia in Italia sia in Europa specie dopo l’instaurazione del programma Frontex);

- In organizzazioni governative internazionali come l’UNHCR, cioè le l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, o la FAO, che sempre per l’ONU si occupa di cibo agricoltura ma anche di combattere con programmi di sviluppo la scarsità di risorse nei paesi in via di sviluppo ( previa selezione tramite concorso).

Tolti questi specifici casi, in ambito no-profit puro le opportunità di ingaggiano sono molte. Non solo per diventare promoter o major donors officer, cioè profili che si occupano di curare la raccolta fondi e i rapporti con specifici target di donatori, sia per strada con attività porta a porta, sia in sede. Questo è un ottimo modo che hanno gli studenti e i giovani laureati per fare esperienza sul campo e con le pubbliche relazioni.


In Italia, ad esempio, realtà come Confcooperative e Legacoop, che radunano sotto di sé società cooperative anche profit, curano progetti di integrazione e sviluppo sostenibile per intere filiere produttive (che vanno dalla vendita, all’artigianato all’impresa manifatturiera), hanno bisogno di figure manageriali da inserire nel loro organico. Figure comuni anche alle organizzazioni senza scopo di lucro. Ad esempio:


- Consulenti legali
- Traduttori
- Mediatori culturali
- Economisti ed esperti di finanza applicata al mondo no profit
- Comunicatori, social media manager
- Pedagogisti ed educatori

Ma tutti con un background scientifico o umanistico legato al terzo settore.


Dove formarsi per lavorare nel sociale

Esistono percorsi accademici specifici per chi desideri lavorare nel comparto no profit. Ad esempio, Bologna ha attivato un corso magistrale in economia sociale mentre la Cattolica di Milano ha un intero dipartimento suddiviso per materie dedicato al terzo settore. Consigliate sono anche le lauree in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali.